Asher Lev è un bambino ebreo di Brooklyn, attraverso cui l’autore che gli dà vita, Chaim Potok, forse ha voluto adombrare il pittore Chagall. Il mondo, visto dagli occhi di Asher Lev, diventa raffigurazione pittorica: nelle sue mani, le cose e le persone si trasformano in plasticità di forme e in varietà di colori. Ma in una cultura come quella ebraica ortodossa, apertamente ostile alle raffigurazioni e alle immagini, la sua vocazione incontrerà notevoli ostacoli, specie quando egli tenterà di dipingere le crocefissioni. In ogni caso, Asher Lev si interroga sulla valenza sinestetica del colore, per poterla poi trasferire nelle sue opere artistiche. « Restai seduto al tavolo, guardando il latte nel bicchiere. Il ghiaccio è bianco, pensai. Bianco come il latte. No, non bianco come il latte. C'è dell'azzurro nel ghiaccio. E del grigio. […] “Di che colore è la sensazione del freddo?” chiesi. La signora Rackover smise di asciugare la tazza che teneva fra le mani e mi guardò sbalordita. "Eh?" disse. "La sensazione del freddo", mi sentii dire, "è la sensazione del buio". […] Il ghiaccio è color azzurro, grigio e bianco, pensai. Poi pensai, no, non è azzurro, grigio e bianco. Non so che colore è. Mi secca non saperlo. Ero turbato e provavo dentro di me un senso di irritazione. Di che colore è il ghiaccio? Mi agitai sulla sedia. […] In camera mi stesi sul letto con gli occhi chiusi e pensai all'uomo che veniva dalla Russia. Vidi la sua faccia distintamente: gli occhi nervosi, il naso a becco, i lineamenti sciupati. Quella faccia aveva vissuto undici anni in una terra di ghiaccio e oscurità. Non riuscivo a immaginare cosa volesse dire vivere nel ghiaccio e nell'oscurità. Mi coprii gli occhi con le mani. Ecco la sua faccia, nitidissima; non proprio la sua faccia, ma quello che sentivo io riguardo alla sua faccia. Disegnai il suo volto dentro la mia testa. Andai alla scrivania e su un foglio di carta bianca pulito disegnai come mi sentivo io rispetto alla sua faccia. Disegnai il kaskett. Non usai colori. La faccia mi fissò dal foglio. Tornai a letto e mi stesi a occhi chiusi. Ora dentro di me c'erano ghiaccio e oscurità. Sentivo la fredda oscurità insinuarsi lentamente dentro di me. Sentivo la nostra oscurità. Mi sembrò così che fossimo fratelli, io e lui, che tutti e due conoscessimo delle terre di ghiaccio e oscurità. La sua era nel passato; la mia era nel presente. La sua era fuori di lui; la mia dentro di me. Sì, eravamo fratelli, lui e io, e in quel momento mi sentii più vicino a lui che a qualsiasi altro essere umano nel mondo.» (pp. 35 ssgg).
Asher Lev ha bisogno di chiudere gli occhi per raffigurarsi ciò che non riesce ad immaginare e per attingere alla parte più intima e segreta della realtà. Ma Asher Lev è anche un cultore magistrale della sinestesia. Questo fenomeno ha cessato da tempo di essere considerato una sindrome, una patologia o un'esperienza tipica esclusivamente degli artisti e dei poeti. Certo, in letteratura e musica si annoverano illustri e stupefacenti casi di sinestesie: Rimbaud, nella poesia Vocali, associa ad ogni vocale un colore, non soltanto sulla base del suono, ma anche delle suggestioni evocative contenute sia nel colore che nella vocale stessa. Baudelaire, nella lirica Corrispondenze, afferma l'intrinseca affinità elettiva tra colori, profumi e suoni. Il compositore russo Skrjiabin, nel Prometeo, associa i suoni ai colori: lo fa fondandosi su basi scientifiche, come la struttura fisica dello spettro luminoso. Alla nota "do" Skrjiabin associa il rosso, al "sol" il rosso o l'arancione, al "mi" il blu o il viola. In precedenza, nel 1739, il gesuita Padre Catel aveva tentato di avvicinare la musica ai sordi immaginando un clavicembalo oculare che, combinando colori attraverso lampade e vetri colorati, suggerisse l'idea delle combinazioni musicali.
La sinestesia è un fenomeno assai più diffuso di quanto si pensi: che cosa ne sarebbe, ad esempio, di un film di Dario Argento senza la terrificante colonna sonora che lo accompagna? Il profumo di una rosa ne esalta il colore, mentre una top model dalla voce sgraziata risulterebbe addirittura meno attraente.
Certo, ogni senso è autonomo nel proprio ambito operativo: non è possibile infatti, ad esempio, vedere leteralmente suoni con gli occhi. Ma, come afferma Marco Mazzeo nel suo saggio assai documentato sulla sinestesia, «la stimolazione di un senso fa scattare automaticamente una percezione in una seconda modalità senza che questa sia stata stimolata direttamente.» (p. 266). La nostra percezione non è affatto monosensoriale: le vie d'accesso al mondo, come notava già Max Scheler, sono molteplici: «Da un lato, i sensi sono diversi tra loro poiché ciascuno interroga a modo proprio il mondo che ci circonda e permette di accedere a dimensioni d'esperienza non completamente sovrapponibili.» (Scheler, p. 303). Infatti il vedente non può illudersi di riprodurre il mondo del cieco semplicemente chiudendo gli occhi. Tuttavia, la consapevolezza della percezione sinestesica, oltre a scardinare il primato plurisecolare della vista nella mentalità occidentale, potrebbe dotare la stessa capacità visiva di una maggiore pregnanza e consapevolezza, gettando uno «sguardo nuovo» su ciò che significa «vedere».